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Don Mario
Caustico SDB

Profilo biografico
Capriglio d’Asti 18 settembre 1913 – Grugliasco 30 aprile 1945

Sacerdote, cappellano militare, martire della Liberazione a 31 anni.

Don Mario Francesco Giuseppe Caustico nasce a Capriglio, in provincia di Asti, il 18 settembre 1913 da Giorgio e Giovanna Vigna. La sua era una povera famiglia contadina ma con profonde radici religiose. Queste radici lo indussero alla scelta di seguire lo stile di Don Bosco diventando salesiano. Il 3 luglio 1938 è ordinato sacerdote. Adempie la sua missione salesiana dapprima nelle case di Avigliana e di Valdocco, poi di Courgnè ed infine dell'oratorio "Michele Rua", in borgata Monterosa, a Torino.

Avvenne però che gruppo di partigiani sui monti della Val Susa, chiese con insistenza un sacerdote. Il superiore di don Caustico, don Luigi Ricceri (futuro Rettor Maggiore dal 1965 al 1977), lo mandò a chiamare:

- Ti sentiresti di lasciare il tuo oratorio per un altro incarico? - gli chiese.

- A quei ragazzi ci sono affezionato… Ma se lei me lo chiede sono pronto ad andare dove è più necessario. Quando devo partire? -

- Al più presto, domani stesso se non hai nulla in contrario.

Lascia dunque i ragazzi del popoloso quartiere torinese borgata Monterosa e parte senza esitazione.

Nella Resistenza partigiana, dal 24 febbraio al 30 aprile 1945, è cappellano militare e comandante di distaccamento della 46a divisione Garibaldi, 4la brigata "Carlo Carli" (successivamente 106a brigata "Giordano Velino", divisione Rinaldo Baratta) operante in Valle di Susa, con nome di battaglia "Don Alberto".

Muore fucilato dai militari tedeschi il 30 aprile 1945, alle 10,30 circa, in località San Giacomo, a Grugliasco.

Testimonianze

Il sacrificio di don Mario

Il 28 aprile 1945 aprile giungono in paese tre brigate Garibaldi: la 4la , la 106a con Don Caustico e la 115a. La brigata di cui fa parte Don Caustico, dopo un cruento combattimento contro i tedeschi, all'altezza del cavalcavia ferroviario di corso Francia, raggiunge l'Aeronautica.

Nel pomeriggio di domenica 29 aprile il sacerdote viene a sapere che una colonna tedesca, proveniente dalla Liguria, sta marciando su Grugliasco e Collegno. Si tratta della 34a divisione Panzer che avrebbe dovuto unirsi alla 5a divisione corazzata attestata tra Stupinigi e Rivoli per evitare l'attraversamento di Torino, in marcia verso nord-est per portarsi sull'autostrada Torino-Milano e avviarsi verso il Passo del Brennero; la colonna avrebbe dovuto attraversare i piccoli comuni della zona ovest.

Con la speranza di scongiurare il pericolo che incombe su queste due piccole comunità della cintura torinese, terrorizzate, Don Mario chiede ed ottiene di andare a trattare il transito pacifico delle truppe in ritirata, munito di un drappo bianco e delle credenziali rilasciategli dal commissario di guerra Giuseppe Garbagnati e dal comandante Carlo Perono.

Il sacerdote, accompagnato da tre partigiani: Scalenghe, Coletti e De Paoli che come lui infine periranno, si reca al comando germanico di stanza a Rivalta. Ammesso alla presenza del comandante, quest'ultimo straccia le credenziali consegnate e trattiene prigionieri gli emissari di pace.

A quel punto viene data una bandiera bianca in mano a Don Caustico, obbligato a marciare in testa alla colonna sino a Grugliasco.

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Non doveva più accadere

Quella domenica 29 aprile, come in ogni altro paese d'Italia, le piazze sono un'altra volta gremite di gente che festeggia la Liberazione dal nazifascismo. A Grugliasco, quella sera, soffiava un vento freddo umido di pioggia; tra le ore 20 e le 21 circa una colonna di tedeschi armati fino ai denti, scortata da un reparto di "SS", avanza preceduta da un prete con uno straccio bianco in mano.

Non è la pace: è un tranello. Inizia una sparatoria violenta. La popolazione terrorizzata cerca scampo nelle case o in aperta campagna. In via Torino (ora via Lupo) vengono uccisi i primi due giovani. E da quel momento che a Grugliasco ha inizio la tragedia più terribile della sua storia. È sera inoltrata quando Don Mario, approfittando della confusione, con uno stratagemma, raggiunge la "Casa del Popolo" alle spalle del Municipio, unendosi ai sappisti intenti a preparare la festa del 1° maggio, da anni abolita dal regime fascista.

 Racconta Giovanni Facchin, superstite al massacro: "Ci eravamo radunati là, nella Casa del Popolo, fin dall'arrivo dei tedeschi. Rifugiati al primo piano, con le luci spente e la porta sbarrata, speravamo di sfuggire al rastrellamento. Solo qualcuno era armato.

Solo qualcuno era armato. Verso le 22 i tedeschi sfondano la porta e cominciano a picchiarci senza pietà, costringendoci poi a scendere al pianterreno, dove già si trovava Don Caustico con altri giovani".

Comincia una notte interminabile dì terrore. I prigionieri subiscono violenze e torture. Don Caustico protesta e

apertamente prende le loro difese.

"E particolarmente contro di lui - ricorda Facchin - che i soldati sfogano il loro furore".

Il sacerdote chiede ripetutamente di essere ricevuto dal comandante. Viene accontentato. Prima di lui il parroco Don Giacomo Ferino e Padre Raimondo, superiore dei Maristi, avevano inutilmente tentato di ammansire l'ufficiale. Don Caustico, con calma e coraggio, gli ricorda la propria posizione di parlamentare, denuncia la violazione del diritto con cui è stato catturato e reclama la libertà per gli altri prigionieri, accusa il trattamento disumano e le sevizie cui sono sottoposti, fa appello alla giustizia.

Sevizie disumane

Le sue ferme parole suscitano l'ira del comandante e degli ufficiali che lo attorniano.

Quando rientra nel salone col volto insanguinato, i suoi compagni comprendono che ormai non c'è più speranza.

Don Mario con loro prega, chiede perdono, assolve.

Le prime luci dell'alba annunciano il nuovo giorno. Per il resto d'Italia è un giorno di pace.

La sparatoria della notte è ormai cessata ma Grugliasco è interamente occupata, le strade sono tutte bloccate dalle truppe in assetto di guerra. Gli abitanti sono asserragliati in casa, qualcuno cerca di scrutare attraverso le persiane per capire che cosa sta succedendo.

Regna un silenzio di morte. Il gruppo di prigionieri viene portato in piazza.

Don Caustico è a piedi nudi, la veste insanguinata, il volto è tumefatto.

"Ci hanno fatto rimanere con le mani alzate sul capo, per parecchie ore - ricorda ancora Facchin - non potevamo muoverci, sotto la minaccia delle armi spianate; sembrava che ci dovessero uccidere da un momento all'altro. Poi ci hanno divisi in tre gruppi, avviandoci in località diverse, ai margini del paese".

Davanti al plotone d’esecuzione

"Don Caustico cammina a testa alta, sereno e sorridente". Così lo ricorda un testimone oculare. Il suo gruppo è condotto nei pressi della cappella di San Giacomo (all'angolo dell'attuale piazza Papa Giovanni XXIII). Al sacerdote è ordinato di scavarsi la fossa ma, stremato per quanto subito nella notte, non riesce neanche a scalfire la superficie del terreno compatto. Lo costringono a scavare in un campo vicino dove il terreno era un po' più soffice. I carnefici hanno fretta; forse temono qualche rappresaglia o hanno orrore per ciò che stanno per fare. Schierano davanti ai prigionieri i soldati che attendono col mitra in mano. Ricorda Facchini "Eravamo tutti legati a catena, con cinghie o filo di ferro, con il volto rivolto alla campagna e le spalle al plotone di esecuzione. I soldati stavano appoggiati al muro di cinta del giardino municipale, all'inizio dell'attuale via Cesare Battisti. Ognuno di noi aveva il suo giustiziere. Il comandante da il primo "puntat-arm"! Don Caustico trova ancora la forza di incitare i compagni al coraggio, al perdono, alla speranza del cielo, e alza per l'ultima volta la mano per assolvere". Una rabbiosa raffica di mitra lo coglie in questo gesto di amore. In seguito i due ufficiali della 46a divisione del "Corpo Volontari della Libertà" dichiareranno:

"II Cappellano Mario Caustico, a nome di questo comando, veniva inviato a un reparto di elementi nemici per trattare la resa e da questi veniva arrestato e in seguito passato per le armi nella zona di Grugliasco”.

Firmato: Garbagnati, Commissario di zona - Carlo Perono, Comandante

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Il racconto dei superstiti

C'è un'altra autorevole testimonianza che mette in luce la tenacia e la devozione di Don Caustico. È quella di Gino Mansani, uno dei sappisti asserragliati nella Casa dei Popolo, a Grugliasco, anche lui scampato all'eccidio. La sua narrazione è ricca di dettagli, in particolare sulle ultime ore trascorse dal sacerdote.

"La sera del 29 aprile, dopo aver partecipato alle manifestazioni di giubilo per l'avvenuta liberazione di Grugliasco, mi trovavo assieme ai compagni Volontari della Libertà Tiziano Lonza, Pasquale De Santis e Giovanni Facchin, alla Casa del Popolo per il servizio di organizzazione e di vigilanza delle staffette dislocate ai vari posti di blocco. Verso le ore 22 si presentava il sacerdote Don Mario Caustico, cappellano della. 46a divisione Garibaldi, che aveva potuto precedere, sebbene di poco, la colonna motorizzata tedesca avanzante su Grugliasco.

Il sacerdote, inviato dal comando dell'Aeronautica d'Italia quale parlamentare incontro la colonna, era stato trattenuto come ostaggio ed era riuscito, non so con quale stratagemma, ad eludere la vigilanza.

Avvertiva quindi noi dello stato d'animo della soldataglia che si portava sul paese, della loro rabbia a stento contenuta, della sete di vendetta che li animava e della possibilità dell'esplodere di tali sentimenti sulla popolazione. Era quindi necessario abbandonare l'edificio, non dare esca alle belve naziste e così dopo breve discussione veniva deciso.

Eravamo ormai presso la porta quando i primi mezzi entravano nella piazza. Non potevamo più uscire, non rimaneva che sprangare la porta e far credere che l'edificio fosse disabitato. E così venne fatto. Le luci vennero spente e ci raccogliemmo in silenzio al buio.

Il trascorrere delle ore sembrava darci ragione: eravamo riusciti nell'inganno? Verso l'una le nostre illusioni dovevano cadere; il vociare dei tedeschi avvinazzati si approssimava e i primi colpi non tardavano ad abbattersi sulla porta: da parte nostra, silenzio, con la testa appoggiata sul tavolo fìngevamo di dormire. La porta cadeva ed i tedeschi diffidenti si presentarono con le armi puntate, alla luce di lampade tascabili. Scattarono gli interruttori della luce elettrica ed il loro furore esplose in tutta la sua violenza; il calcio dei mitra e dei moschetti si abbatteva come gragnola sulle nostre teste.

Qualcuno rimaneva a terra privo di sensi, qualche altro aveva il volto bagnato di sangue. Ma la loro ferocia non era ancora soddisfatta.

Dovevano escogitare qualche cosa di più raffinato, di più divertente. E prendevano il giovane De Santìs: con la testa gli facevano infrangere i vetri dei quadri appesi ai muri fino a farlo svenire: ci ponevano in fila col dorso come si usa nel gioco della "cavallina" e anziché scavalcarci, piombavano sul collo con tutto il peso del corpo fino a fard scricchiolare le ossa. Dal piano terreno, a più riprese, ci facevano correre super la scaletta che portava al piano superiore e a una svolta facevano cadere all'improvviso il calcio del fucile sulla testa, E fra un giuoco e l'altro, ceffoni che ci facevano barcollare, calci al basso ventre da farci contorcere dal dolore, tirate d'orecchie fino a farle sanguinare, e tutto fra un vociare assordante e sghignazzate di scherno. Ogni tanto qualcuno di noi si accasciava privo di sensi e, quando si riprendeva, le percosse lo abbattevano di nuovo.

Mentre eravamo allineati sulla piazza, Tiziano Lonza veniva prelevato e portato per il paese perché rivelasse i nascondigli dei partigiani. Ritornava in condizioni pietose, affranto, sfigurato: non essendo riusciti nel loro intento i tedeschi avevano di nuovo infierito su di lui.

Sempre sulla piazza ci portavano davanti il segretario comunale Francesco Vaglienti perché procedesse al nostro riconoscimento. Alla sua dichiarazione di non conoscere nessuno, veniva allontanato con dispetto e ciò doveva poi costargli la vita.

Alle 7,30 tutti venimmo portati e stipati nella saletta a piano terreno della Casa del Popolo. Don Caustico, che conosceva la lingua tedesca, aveva capito come ormai fossimo condannati a morte.

Io, lo stesso Don Caustico e qualche altro, ci eravamo slegati e pensavamo di sopraffare le sentinelle alla porta e tentare una fuga disperata. Ma in una delle loro continue ispezioni i tedeschi se ne accorsero e non sto più a dire le violenze che dovemmo di nuovo subire”.

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Una bandiera, un simbolo

"Qui si verifica uno degli episodi più significativi: Ì tedeschi trovano una bandiera rossa e la gettano per scherno contro Don Caustico, il quale la raccoglie e se la pone sulla spalla.

Il gesto del sacerdote scatena la reazione dei militari che lo aggrediscono, ma ogni volta che la bandiera cade, Don Caustico la raccoglie.

Dirà successivamente Franco Antonicelli (membro del Comitato di Liberazione Nazionale e fondatore dell'Istituto Storico della Resistenza in Piemonte) parlando dell'episodio:

"Cos'era quella bandiera rossa per Don Mario Caustico? Non certamente il vessillo della sua fede. Ma era una bandiera, il simbolo di un ideale che non si può lasciar cadere a terra senza infrangere il vincolo di rispetto che ogni ideale pagato col sangue deve imporre".

I luoghi della strage

Grugliasco, all'epoca, contava poco più di cinquemila abitanti; oltre al piccolo centro storico vi erano distese di campi di segala e poche cascine sparse. I tre luoghi dove avvenne l'eccidio non erano molto lontani tra loro; erano tutti circoscritti in un raggio di 300 metri circa, collocati nelle immediate adiacenze dell'agglomerato urbano.

"Alle 10,30 — continua il racconto di Mansani - venimmo divisi in tre gruppi; quello ove mi trovavo veniva avviato verso la località San Giacomo. Appena giunti nei pressi di un campo di segala sentivo bestemmiare degli ordini in tedesco, vedevo Don Caustico alzare un braccio nel gesto della benedizione e nello stesso tempo si abbatteva su di lui una prima scarica. Sentivo ancora il crepitare dei mitra e dei moschetti e mi buttavo a terra (ero ferito non gravemente); non mi rimaneva che fare il morto. Dopo una pausa, il susseguirsi dei colpi di grazia. E giungeva la mia volta. Udivo distintamente caricare l'arma, una detonazione lacerante, un urto sotto la spalla e la bocca si riempiva di un liquido caldo, salato: sangue. Qualche altro colpo vicino a me, poi silenzio.Alzavo la testa, nessuno. Mi mettevo seduto e mi slegavo. Vicino a me era Tiziano Lanza, ancora vivo; tentavo di sollevarlo ma m'imponeva di lasciarlo e di salvarmi. Strisciando carponi passavo vicino a ogni compagno e ne slegavo qualcuno che spariva tra la segala. Giungevo anche a Don Caustico, vivo ma agonizzante, con uno squarcio spaventoso alla gola. Aveva ancora la forza di dirmi: "Salvati, per me è finita, va e Dio sia con te".

Continuavo a strisciare fra la segala dirigendomi verso le case vicine. Nei pressi di una casetta scorgevo seminascosta una coraggiosa ragazza, Orsolina Foriero. A gesti riuscivo a farmi notare; la vedevo scavalcare un muretto e dalla casa attigua farmi segno di attraversare la strada con prudenza perché all'estremità vi erano delle sentinelle. Strisciando carponi, ormai esausto, venivo raccolto sulla porta dalla ragazza e dalla signora Maria Manferdini".

San Giacomo, dove fu abbattuto il gruppo con Don Caustico, si trova in fondo al muragliene delle "serre". Pare che proprio contro quel muro, all'angolo con l'attuale via Battisti, si sia consumata una delle tragedie. Un altro gruppo fu fucilato in via Olevano (zona chiamata "la Luce" per la presenza della bealera che in quel punto, tramite una turbina, alimentava la corrente elettrica per buona parte del paese). Ad altri ancora toccò la località San Firmino (attuale via Generale Feretri, angolo corso Fratelli Cervi).

 

Hanno detto di lui:

Era un vero sacerdote: voleva bene a tutti e si sacrificava indistintamente per gli altri dimenticando sé stesso”.

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